Eccoci chiamati al non facile compito di riflettere su
questo decreto “Cresci Italia”, che, con continue modifiche e puntualizzazioni,
non risulta certamente chiaro e lineare. Molti sono i punti su cui si può
discutere, e l’opinione che nasce è quella che la riforma non sia fatta in
maniera organica e studiata, lasciando quindi dei gap e complicando la
situazione.
Per principio questa riforma vuole introdurre 5000 nuove
sedi tramite concorso, e per fare ciò è stato introdotto un abbassamento del
quorum a 3300 abitanti. Guardando i dati relativi, risulta che in molte città
d’Italia, ciò corrisponde già alla situazione reale, non verranno quindi aperte
nuove farmacie, dimostrando che il nuovo quorum è sostenibile. Nella provincia
italiana, invece, già con il quorum attuale sono presenti sedi vacanti,
all’incirca 1000, che non trovano assegnazione; sono quelle sedi che nessuno
vuole perché non sono remunerative e che, qualora non avvenissero dei
cambiamenti sostanziali a sostegno delle zone disagiate, rimarranno tali. Ciò
forse ci dimostra che il sistema, in quelle zone, non è sostenibile già con il
quorum attuale e mi chiedo quindi se il nuovo limite risulti sostenibile o se
invece non acuirà le differenze e i disagi del servizio tra la provincia e
città, mettendo in crisi situazioni già difficili.
La modifica della modalità di concorso inizialmente mi
lasciava soddisfatto per la possibilità per i giovani sotto i quarant’anni di
associarsi, unire i titoli, e di concorrere alla assegnazione di una sede. Per
la prima volta finalmente veniva fatto qualcosa esplicitamente per i giovani. Ora
però questa norma verrà eliminata, poiché discriminatoria per altri colleghi
ultra quarantenni. Rimane però la possibilità di associarsi. Essendo anche stati
tolti i punteggi relativi alle prove d’esame (unica possibilità per il giovane
farmacista fresco di studi di fare la differenza e arrivare ai primi posti
della graduatoria), in barba alla tanto acclamata meritocrazia, risulta che,
per poter ottenere un adeguato punteggio, un giovane farmacista deve necessariamente
unirsi ad uno o più farmacisti più anziani, e che la società formatasi deve
mantenersi per almeno 10 anni. La cosa risulta difficile e complicata, ma è
addirittura impossibile se ad unirsi in società fossero farmacisti con anni di
esperienza.
L’obbligo per il titolare di lasciare la direzione della
farmacia al raggiungimento dell’età pensionabile (fermo restando il valore
dell’esperienza quarantennale, che nel nostro campo vale più di tanti studi)
mostra un segno importante nella nostra società, dove finalmente si fa spazio ai
giovani concretamente. Con questa norma, molti giovani avranno la possibilità
di essere nominati direttori, molte farmacie saranno messe in vendita,
elasticizzando il mercato. Mi chiedo però perchè ciò si applichi solo alle
farmacie e non a tutti i settori professionali, come medici, notai, gli
avvocati, ma soprattutto perché ciò non si applichi anche alla politica. Visti
i precedenti attacchi alla nostra professione, lo vedo come un segno molto
pericoloso e non posso che nutrire qualche preoccupazione. Inoltre, con una
norma del genere, per la prima volta viene separata la proprietà della Farmacia
dalla direzione, lasciando intendere che in un futuro, forse non troppo lontano,
la proprietà della Farmacia verrà aperta al capitale, ufficializzando (ciò che
la nostra Agifar ha sempre denunciato) l’ingresso della grossa distribuzione e
delle multinazionali nel servizio sanitario, distruggendo il sistema Farmacia
come oggi lo intendiamo e rendendolo un semplice atto commerciale.
Una apertura sostanziale è stata fatta nei confronti delle
parafarmacie, alle quali anche se non è stato concesso il farmaco di fascia c,
sono stati concessi i farmaci veterinari e le preparazioni galeniche. Pur non
discutendo la professionalità e la preparazione dei colleghi che lavorano in queste
strutture, pongo l’attenzione sul fatto che la maggior parte delle parafarmacie
aperte, e soprattutto quelle che godono di buona salute, non sono di proprietà
di giovani farmacisti che hanno deciso di costruirsi un futuro investendo sulla
propria professionalità, ma bensì di grossi gruppi economici. Per la prima
volta quindi una ricetta (per adesso solo quella veterinaria e quella
magistrale) esce dalla farmacia, andando in mano oltre che ai colleghi
parafarmacisti anche alla grossa distribuzione, come precedentemente
menzionato. Concedere quindi a questi soggetti economici di poter trattare
farmaci veterinari su ricetta, e la possibilità di fare preparazioni galeniche
crea un precedente molto pericoloso per la nostra professione e la nostra professionalità.
Oggi più che mai dobbiamo quindi essere noi che oltre a
cavalcare il cambiamento in atto nella professione, dobbiamo farci avanti con
proposte ed iniziative.
Vi invito quindi a contattarci per esporci le vostre
riflessioni e le vostre iniziative.
Dr. Mario Pipia
Presidente Agifar Milano Lodi Monza e Brianza